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Tutoraggio: un percorso educativo oltre i compiti
Questo articolo spiega cosa fa il tutor e quale è la differenza tra tutoraggio ed aiuto compiti
Nel contesto scolastico italiano, con l’espressione “Bisogni Educativi Speciali” (BES) si intende una grande varietà di situazioni che richiedono attenzione, personalizzazione e cura: si va dagli studenti con disabilità certificata, a quelli con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), fino a bambini e ragazzi che si trovano in situazioni di svantaggio sociale, linguistico o culturale.
Si tratta di una categoria ampia, introdotta dal MIUR con la Direttiva del 27 dicembre 2012, che ha promosso un approccio più flessibile e inclusivo, per concentrarsi su una didattica realmente centrata sul bisogno del singolo. Tutoraggio e aiuto compiti: due approcci diversi
All’interno di questo quadro, il tutoraggio per ragazzi con BES rappresenta una delle risorse educative più significative e promettenti.
Spesso confuso con il semplice “aiuto compiti”, il tutoraggio è in realtà un intervento strutturato e personalizzato, volto a potenziare le risorse individuali e a promuovere l’autonomia del ragazzo, non solo nello studio ma anche nella gestione di sé e del proprio percorso scolastico.
È importante sottolineare che, nel lavoro con studenti con BES, tutoraggio e aiuto compiti non sono interventi in contrapposizione, ma possono coesistere in modo complementare, a patto che sia chiara la loro differente natura.
Per questo motivo, è fondamentale anche che i due interventi vengano svolti da professionisti diversi, ciascuno con una formazione adeguata e un ruolo educativo distinto.

Ma allora, quali sono le differenze tra i due approcci?
L’aiuto compiti, per come è comunemente inteso, si configura come un supporto centrato sullo svolgimento delle consegne assegnate dalla scuola. Può essere un intervento utile in contesti e casi generici, ma nei casi di BES potrebbe rivelarsi insufficiente, soprattutto se basato sulla sola semplificazione dei contenuti o sulla spiegazione frontale. Il rischio maggiore è quello di creare una dipendenza funzionale, in cui il ragazzo si affida all’adulto per completare i compiti, senza maturare strategie personali di apprendimento, né sviluppare una reale consapevolezza dei propri processi cognitivi e delle proprie capacità. Il tutor, invece, lavora con una prospettiva educativa più ampia e profonda. L’obiettivo non è solo aiutare a “fare”, ma soprattutto insegnare a fare, favorendo l’autoregolazione, la motivazione, la capacità di affrontare ostacoli cognitivi ed emotivi.
L’obiettivo del tutor è quello di guidare il ragazzo nella scoperta di strategie efficaci e su misura, accompagnandolo verso una crescente autonomia, affinché possa affrontare lo studio in modo indipendente, senza necessità di un supporto continuativo.
Il tutoraggio, dunque, diventa un vero e proprio intervento abilitativo, centrato sull’individuazione delle difficoltà e sul potenziamento delle competenze, non un semplice aiuto temporaneo o sostitutivo.

Il ruolo del tutor: approccio, competenze e obiettivi

Un tutor competente è in grado di integrare diverse dimensioni del lavoro educativo, andando a lavorare su diversi aspetti contemporaneamente:
  • Organizzazione: il ragazzo viene supportato nella pianificazione delle attività, nella gestione del tempo, nella costruzione di routine a lui funzionali;
  • Metodologia: vengono proposte delle strategie di studio personalizzate, come mappe concettuali, tecniche di sintesi, esercizi per la comprensione e la memorizzazione;
  • Motivazione: si lavora sul senso di autoefficacia, aiutando il ragazzo a riconoscere i propri progressi e a riformulare in positivo la propria esperienza scolastica, la quale potrebbe rappresentare motivo di stati ansiosi;
  • Relazione: si costruisce un’alleanza educativa basata sull’ascolto, sulla fiducia e sulla co-costruzione degli obiettivi;
  • Collaborazione: viene mantenuto un dialogo costante con scuola e famiglia, per garantire coerenza tra i diversi contesti educativi e sostenere il progetto didattico individualizzato.

Ciò che distingue il tutoraggio dall’aiuto compiti, dunque, non è solo il “cosa si fa”, ma soprattutto il come si lavora: con una progettualità a lungo termine, una metodologia intenzionale e un’attenzione costante all’autonomia.

Approccio metacognitivo e alleanza educativa

Uno degli elementi centrali del tutoraggio è l’approccio metacognitivo, che mira a rendere lo studente consapevole dei propri processi mentali.
La metacognizione, come sottolinea Cornoldi (1995), è la capacità di riflettere sul proprio modo di apprendere, di monitorare le proprie strategie e di autoregolarsi nel percorso cognitivo. Questo tipo di lavoro si rivela particolarmente utile nei contesti di DSA o ADHD, dove la difficoltà principale non risiede nella comprensione dei contenuti, ma nella gestione del processo di apprendimento. In parallelo, il tutoraggio poggia su una relazione educativa significativa, dove il legame affettivo, la sicurezza relazionale e la presenza empatica dell’adulto diventano fondamentali per la crescita del ragazzo.
Come evidenzia Siegel (2012), l’apprendimento non è mai solo un fatto cognitivo: il cervello si sviluppa e si trasforma nelle relazioni, e un contesto emotivamente sicuro favorisce l’attivazione delle risorse attentive, mnemoniche ed esecutive.
Il tutor, in questo senso, è anche un “facilitatore della relazione”, capace di costruire un ambiente in cui il ragazzo può sperimentarsi senza giudizio, affrontare gli errori in modo costruttivo e sentirsi riconosciuto nella propria unicità. Inoltre, il tutoraggio efficace è sempre parte di un lavoro di rete: non si sostituisce né alla scuola né alla famiglia, ma agisce in sinergia con entrambe. È un alleato degli insegnanti, poiché può tradurre in azioni concrete le indicazioni del PDP o del PEI; è un supporto per i genitori, spesso disorientati rispetto alle modalità di aiuto più efficaci.

Quando il tutoraggio è ben impostato, contribuisce a rafforzare la coerenza tra i diversi ambienti di vita dei ragazzi, favorendo un clima di fiducia e di corresponsabilità educativa.

Il tutoraggio rappresenta, dunque, una risorsa preziosa per l’inclusione scolastica, a patto che venga riconosciuto per ciò che è: un intervento educativo a tutto tondo, capace di coniugare competenza, progettualità e relazione. Si tratta di un lavoro delicato, che richiede formazione specifica, aggiornamento continuo e capacità di lettura dei bisogni del singolo ragazzo. La differenza tra tutoraggio e aiuto compiti non è solo una questione terminologica, ma riguarda la visione dell’educazione e del potenziale di ogni studente.

Dove l’aiuto compiti si ferma alla superficie, il tutoraggio scende in profondità; dove l’aiuto compiti colma una lacuna, il tutoraggio costruisce una competenza; dove l’aiuto compiti risolve un compito, il tutoraggio accompagna una crescita.


 Come ricorda Andrea Canevaro (2006), uno dei padri della pedagogia speciale in Italia, “inclusione significa dare ad ognuno non la stessa cosa, ma ciò di cui ha realmente bisogno per crescere”. Il tutor, in questa direzione, rappresenta una presenza educativa che semina autonomia, fiducia e possibilità.

Riferimenti bibliografici

  • Canevaro, A. (2006). Pedagogia Speciale. La riduzione dell'handicap. Trento: Erickson.
  • Cornoldi, C. (1995). Metacognizione e apprendimento. Bologna: Il Mulino.
  • MIUR (2012). Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 – Strumenti d’intervento per alunni con BES e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.
  • Siegel, D. J. (2012). La mente relazionale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Stella, G. (2013). DSA. Guida alla diagnosi e all'intervento. Firenze: Giunti EDU.
  • Vio, C., Tressoldi, P. E., & Lo Presti, S. (2012). Psicologia dell'apprendimento scolastico e interventi psicoeducativi. Trento: Erickson.

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