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Sociologia del crimine e della devianza
Il crimine analizzato dal punto di vista sociologico non può prescindere dall’influenza di variabili quali il contesto storico culturale in cui esso si riproduce e dall’ interpretazione di quelle che sono le caratteristiche di soggettività, storicità ed imprevedibilità dell’attore o degli attori sociali che lo compiono.
L’ approccio sociologico allo studio delle diverse tipologie di crimine osservate, prevede che si faccia necessariamente riferimento al principio che, le stesse terminologie e categorie concettuali che definiscono il concetto di devianza, derivino da una costruzione sociale che si genera a partire dalle agenzie di socializzazione inserite in un paradigma generazionale sicuritario di riferimento.

La devianza assume in questo modo il significato di trasgressione di norme e valori costituiti in un ordinamento giuridico e sociale. 
Modelli culturali e
principi morali vengono interiorizzati, consolidati e legittimati dagli individui fino a condizionarne i modi di agire e di pensare e le loro dinamiche relazionali nelle pratiche quotidiane condivise. 

Alcune delle teorie criminologiche definiscono il deviante come l’outsider, colui che si discosta dai mezzi leciti per raggiungere mete di prestigio e di ascesa sociale in maniera razionale rispetto allo scopo. In altri casi la devianza è legata alla criminogenesi, concepita come qualcosa che si apprende in contesti sociali più o meno
affini al potenziale individuo criminale, come nei quartieri urbani più degradati e nelle aree territoriali più malfamate.

Spesso il malessere di colui che delinque, deriva da uno sgravio morale individuale nei confronti della società e da una situazione di “anomia sociale” che provocherebbe nell’individuo turbamento e disorientamento fino a commettere l’atto criminale al semaforo di un incrocio stradale, all’uscita da una locale notturno oppure ad una riunione di condominio.


In altri episodi la devianza viene attribuita ad una distorta socializzazione avvenuta in ambito familiare o lavorativo, allo sviluppo di dinamiche gruppali basate sull’influenza e sull’ imitazione di modelli violenti e prevaricatori del comportamento delinquenziale, come nei casi di bullismo adolescenziale e maturo, o ancora alla reazione violenta delle classi subalterne o di gruppi di minoranza che vivono condizioni di dislivello e svantaggio sociale. Ma allora come si spiegherebbe la criminalità proveniente dai colletti bianchi, la criminalità industriale e ambientale e quella che si sviluppa nelle relazioni di potere?

A prescindere dall’affidabilità ed attuabilità di queste o altre teorie criminologiche, l’analisi sociologica studia la devianza nella sua complessità, inevitabilmente connessa alla complessità della società e degli individui che ne fanno parte. 
La devianza o la criminalità, riceve condanna morale da parte del sistema penale, dall’opinione pubblica e dai discorsi di senso comune.

I processi di etichettamento e di criminalizzazione nei confronti del “deviante” e dell’atto criminale vanno analizzati in una prospettiva critica e decostruzionista a prescindere dalle riduzioni di complessità e dalla spettacolarizzazione mediatica che ne viene fatta.

L’approccio sociologico allo studio del crimine deve essere il più possibile libero da giudizi di valore analizzando i fatti in un contesto di significato negoziabile sulla base delle variabili situazionali sociali ed individuali che definiscono gli atti e gli attori del crimine.

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