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Sulla spontaneità
Nel linguaggio di senso comune che cos'è la spontaneità? Una riflessione sul modo in cui le categorie concettuali utilizzate dagli individui diventano convenzioni sociali fino a determinare atteggiamenti e comportamenti umani
Una riflessione sul modo in cui le categorie concettuali utilizzate dagli individui diventano convenzioni sociali fino a determinare atteggiamenti e comportamenti umani.
Queste categorie portano a etichettare gli individui stessi sulla base del  principio dicotomico del bene o del male, oppure del vero o del falso, tralasciando l'opportunità di poterli invece comprendere in funzione della loro ambivalenza e complessità. Nel linguaggio di senso comune che cos'è la spontaneità? Essere veri, se stessi, semplici, spontanei, autentici. Queste sono soltanto alcune delle definizioni di spontaneità e hanno quasi sempre una valenza positiva per tutti gli individui definiti o che si definiscono essere tali.
Allo stesso modo  la non spontaneità ha quasi sempre un'accezione negativa: falsi, non veri, costruiti, finti, fasulli, tarocchi. Ma cos'è che definisce veramente  un individuo nella sua spontaneità ed autenticità? E se in realtà questa spontaneità fosse costruita, cadrebbe forse il mito della sua illusione e risulteremmo essere tutti falsi e costruiti? Forse non è esattamente così! Basterebbe ragionare in termini diversi, soffermandosi a riflettere sul termine in questione, e provare ad andare in profondità e mettere in discussione le radici sociali e culturali di tale termine.
Riflettere sui significati pre-compresi nella loro universalità, su come si consolidano e si legittimano fino a radicarsi e a fossilizzarsi facilmente nelle coscienze degli individui, divenendo sacralità di linguaggi condivisi e di atteggiamenti di senso comune stereotipati che hanno il potere di definire e classificare comportamenti più o meno leciti e più o meno normali, oppure più o meno spontanei.
Connessioni ed associazioni generalizzanti di significati e di parole rimandano di frequente al termine "spontaneo" nell'assegnazione di etichette a persone e a comportamenti, e pongono spesso tale termine quale categoria suprema di riferimento e di giudizio degli stessi individui. Ma quale significato e contenuto simbolico, nella sua estremizzazione, può assumere il termine "spontaneo" per gli individui che vi fanno continuo riferimento? Cosa può esserci di più spontaneo ad esempio del gesto di una madre che sacrifica la propria vita per quella del figlio che sta per essere investito da un'automobile che corre ad alta velocità? In questo caso "spontaneo" trova un suo sinonimo, che è quello di "altruistico", o meglio ancora, "altruistico e naturale", ed assume valenza puramente positiva. Si prenda un caso totalmente diverso, la ringhiera di un balcone. Sappiamo bene che sporgersi dalla ringhiera di un balcone, fa parte di un comportamento spontaneo, naturale, ma in realtà precompreso.
Nel momento in cui mi sporgo, infatti, agisco in virtù di uno schema mentale ben preciso che mi consente di valutare in una frazione di secondo che le ringhiere dei balconi sorreggono le persone che vogliono affacciarsi a guardare un panorama evitando il pericolo di cadere nel vuoto.
L'azione abitudinaria  di affacciarsi dalla ringhiera di un balcone è stata interiorizzata a tal punto da divenire un gesto naturale e spontaneo, qualcosa che faccio in modo meccanico, senza quasi rendermene conto. In questo caso "spontaneità" non assume valenza in chiave di giudizio di valore su persone o su comportamenti se non quella di spontaneità, di naturalità, di gesto non pensato, pur essendo in realtà un gesto pre-pensato e pre-compreso.
Tornando all'esempio precedente, verrebbe da pensare che una madre che non sacrifichi spontaneamente la propria vita per quella del figlio, sarebbe agli occhi di tutti una madre cattiva, indegna. Si può essere certamente d'accordo!
Ma se invece il gesto "spontaneo" di salvare il figlio non fosse conseguenza diretta di un comportamento del tutto spontaneo, ma fosse stato appreso nel corso della sua esistenza da un valore etico, da un imperativo morale che prescrive come gesto naturale e spontaneo quello secondo cui tutte le madri dovrebbero sacrificare la propria vita per quella dei loro figli? Basterebbe a giustificare l'assegnazione al termine "non spontaneo", oppure "costruito", oppure "appreso" , di una valenza puramente negativa? Non credo! Una buona madre sceglie comunque di salvare suo figlio in maniera spontanea, ma forse si tratta di una spontaneità pre-compresa, costruita, manipolata, appresa in contesto storico e culturale ben preciso. Non per questo il termine può assumere un significato ed un contenuto negativo o peggio dispregiativo.
Quanti significati e significanti fanno riferimento nei discorsi di senso comune al termine "spontaneo" e sinonimi?
Ciò avviene quasi sempre in virtù di una valenza simbolica che il termine rappresenta per gli stessi individui, che fa della spontaneità una dote innata, appresa con l'educazione, o comunque qualcosa di autentico, di positivo, di veritiero nel giudicare e qualificare atteggiamenti e comportamenti della vita quotidiana degli stessi individui.
Ma il termine "spontaneo" può essere legittimamente accostato a "costruito" non assumendo valenza negativa, perché le due accezioni si comprendono e si sposano perfettamente.
La spontaneità non costituisce sinonimo di veridicità, di unicità e di autenticità dell'essere, considerando il fatto che gli individui negoziano le proprie rappresentazioni identitarie individuali e collettive nei diversi contesti sociali in cui interagiscono in maniera più o meno "spontaneamente costruita".
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